“Nel frattempo, i miei
quattro camerati, richiamati dall’insolito clamore, filtrarono tra la folla per
raggiungerci. Pompei, superato l’ultimo sbarramento, mi cadde ai piedi colpito
da una pugnalata alla coscia; peggiore sorte toccò a Gasparri che s’ebbe mezza
lama all’inguine. Ma tutti ci raggiunsero, per fortuna. Il sangue dei feriti
cominciò a chiazzare il lastricato. Il sangue ha un formidabile potere
eccitante. Iniziammo, con estrema decisione, l’impari lotta.
Ricordo che, dietro alle
nostre spalle, era l’ufficio daziario del Comune, ed ivi si trovava, dicesi per
caso, un noto maestro sovversivo. Un colpo di bastone bene assestato, e l’uomo
si adagiò nella più riposante posizione orizzontale. Cominciarono i primi colpi
di arma da fuoco. Eravamo troppo facile bersaglio. Ordinai di mettere le spalle
al muro, e di rispondere, tirando sulla mira. Quando c’è di mezzo la pelle, la
più gran parte pensa di metterla al sicuro. La folla rinculò, sparendo nei
portoni delle case e nelle strade adiacenti la piazza. Il primo successo ci
trasformò in energumeni, dalla difensiva passammo all’offensiva, e, dopo pochi
minuti di una indescrivibile drammaticità, conquistammo il pieno dominio della
piazza.
Eravamo quattro; gli
altri due, feriti, giacevano bocconi, mordendo la terra. Avremmo seguitato a
dar battaglia, in preda all’eccitazione ed all’ebbrezza del successo, se l’immobilità dei nostri due
camerati ed il molto sangue che avevano perduto, non ci avessero richiamato
all’umano dovere di soccorrerli. Li
sollevammo. Erano di un pallore cadaverico, e non profferivano verbo. Cercammo
della macchina, pur vigilando le uscite della piazza e le finestre. Non c’era
più. Ne fummo seriamente preoccupati. Non ricordo chi di noi la trovò nascosta
in un vicoletto poco lungi dal terreno della contesa. L’autista si era
prudentemente messo al riparo. Caricammo i feriti. La vettura era scoperta e la
affidai a Rossi e Vespignani. Io presi posto vicino all’autista, in piedi,
beninteso, e gli ordinai di prendere la strada alla fine della quale, prima di
lasciare il paese, era una lunga scalinata”.
E’ un brano tratto da uno
dei pezzi contenuti nel volume, che parla di squadrismo marchigiano. A
raccontare Raffaello Riccardi, giornalista e scrittore, instancabile animatore del primo fascismo in
zona. Figlio di imbianchino, nato a Mosca dove il padre era emigrato in cerca
di lavoro, sarà decorato in guerra, e poi ferito, carcerato, latitante in
Sicilia durante la vigilia.
Il resto, nel libro.....
Giacinto Reale,
ricercatore storico
https://www.facebook.com/giacinto.reale.98
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