"Non
si è uomini se non si è passato
almeno un giorno in prigione"
Benito Mussolini
2022, ottobre, 28
Scorre il tempo e siamo
già all'anniversario della "rivoluzione": la sola rivoluzione
avvenuta nei tempi moderni in Italia: la rivoluzione delle camicie nere di
Benito Mussolini.
28 ottobre 1922: cento
anni dopo avrei voluto dedicare molte novità librarie delle Edizioni della
Lanterna a questo magico centenario, ma non mi è stato possibile: lo Stato
"democratico", figlio bastardo della restaurazione antifascista del
1945, ha deciso altrimenti e ha stabilito di gettarmi in galera con decreti di
arresto illegali, reo di "lesa maestà giudiziaria" e di ribellione
alle autorità dell'Italia , colonia del potere internazionale di usura.
Dal fondo di questa cella
non posso pubblicare i tanti libri che, con l'aiuto di valenti collaboratori ,
avevo raccolto per ricordare l'evento rivoluzionario, quello che aveva fatto
dire a Lenin: "in Italia c'è solo un rivoluzionario: Benito
Mussolini". Purtroppo queste pubblicazioni sono rinviate al prossimo anno,
ma una segnalazione libraria ai lettori della "Lanterna" voglio
riservarla.
Vi propongo la rilettura
del "Diario 1922" di Italo Balbo, del quale ho curato una seconda
edizione poche settimane prima di finire in galera. uno dei libri più letti
delle nostre Edizioni, riedito aumentato di una nuova introduzione, con tutte
le fotografie della prima edizione, i fogli d'ordine e le schede geografiche
dei preparativi della "marcia".
Italo Balbo non ha
bisogno di presentazioni. Questo libro "folgorante" che ho riletto in
queste notti, mentre fuori dalla finestra brillava la luna di settembre resa
"a scacchi" dalle sbarre della cella a ricordarmi che sono prigioniero
dell'Italia Repubblica "democratica", non cessa di affascinarmi. E'
un libro di azione: se Mussolini fu lo stratega della rivoluzione vincente,
Italo Balbo fu il fabbro che forgiò l'animo di acciaio delle legioni delle
camicie nere; oltre a potenziare le capacità militari e di incursione. Le
"squadre" della rivoluzione furono le prime milizie di "soldati
politici" integrali, votate alla lotta e alla vittoria.
L'attualità modernissima
di questa esperienza storica è lampante e può dare insegnamento a chiunque
abbia ingaggiato battaglia al regime mondialista attuale.
Ma di queste pagine
coinvolgenti ho voluto selezionare alcuni passaggi al fulmicotone, che
definisco "scintille di rivoluzione", scintille
che hanno fatto deflagrare l'incendio di un regime in putrida decadenza. Sono
scintille che accendono l'animo di ogni rivoluzionario, di ogni tempo e
temperie. Oggi sono vitali perché il potere transnazionale vuole spegnere nelle
giovani generazioni ogni anelito guerriero.
Ora vi lascio alla
lettura di queste pagine che parlano di una rivoluzione che l'ambasciatore
americano a Roma , R. Child, così descrisse in un dispaccio a Washington:
"in Italia sta avvenendo una rivoluzione giovane, che a me piace
molto".
A cento anni di distanza,
si può ancora concordare con questo giudizio. La parola, ora, a Italo Balbo.
"Ragazzi tutti: dai
ventidue ai venticinque anni; nel 19-20 il sottoscritto ne aveva precisamente
23-24. Quando si congedò, quasi contemporaneamente, dalla caserma e
dall'università, non portò con sé che il suo pugnale di ardito e un tascapane
di bombe a mano, trafugate in un deposito dove erano state abbandonate
all'acqua, oggetti in disuso. Avevo avuto cura di scegliere quelle asciutte.
Erano un cimelio della guerra passata, ma potevano diventare l'arma della
guerra futura. Quale? La guerra dei giovani".
"Io non ero, in
sostanza, nel 1919-1920, che uno dei tanti: uno dei quattro milioni di reduci
dalle trincee: partito per la guerra diciottenne, già orientato, come i tre
quarti dei ragazzi di allora, verso le idee dell'estrema sinistra, interventista
per ideali di giustizia umana e niente affatto per motivi di nazionalismo
conservatore o "destro", come allora si diceva.
Un figlio del secolo che
ci aveva fatti tutti democratici, anticlericali e repubblicaneggianti:
anti-austriaci e irredentisti esasperati in odio all'absburgo tiranno, bigotto
e forcaiolo; adoratori, con le lagrime agli occhi, di un'Italia carducciana".
"Davanti all'ideale
conquista dello Stato, nessuna borghese ipocrisia e nessun sentimentalismo:
l'azione rude e aspra, condotta a fondo, a qualunque costo".
"Feci nel settembre,
il primo esperimento grandioso: la mobilitazione di 3000 uomini, la marcia su
Ravenna. Per la prima volta il fascismo metteva al suo attivo una impresa di
così grande portata. [...] fece in questa occasione la sua grande prima comparsa,
come divisa militare, la camicia nera, che era il costume ordinario del
lavoratore di Romagna e che diventò la divisa del soldato della
rivoluzione".
"Noi non abbiamo che
un destino solo: svalutare nel ridicolo, fino all'assurdo, lo Stato che ci
governa. Il regime attuale è il nostro obiettivo di battaglia. Vogliamo
distruggerlo con tutte le sue venerande istituzioni. Più scandalo nasce dalla
nostra azione, più siamo contenti. Il "me ne frego"
dice anche che la nostra battaglia è gaia. Ci divertiamo a confondere le idee
nella testa dei santoni della democrazia. E combattendo con le rivoltelle e con
le bombe non siamo educati, una rivoluzione "bene educata"
non fa per noi".
"Questa notte le
squadre hanno proceduto alla distruzione dei vasti locali della confederazione
provinciale delle cooperative socialiste. Non vi era altra risposta da dare
all'attentato compiuto ieri a Meriano e all'assassinio di Clearco Montanari. Come
al solito, l'azione fascista è giunta di sorpresa. Il vecchio palazzo, che fu
sede dell'Hotel Byron ed era la roccaforte delle leghe rosse è completamente
distrutto. I fascisti non procedono a operazioni di questo genere se non per
motivi di assoluta necessità politica. Purtroppo la lotta civile non ha mezzi
termini. Noi giochiamo la vita tutti i giorni. Nessun interesse personale ci
spinge. [...] L'incendio del grande edificio proiettava sinistri bagliori nella
notte. Tutta la città ne era illuminata. Dobbiamo oltre a tutto dare agli
avversari il senso del terrore. Non si uccidono impunemente i fascisti".
"Qui si impegna
battaglia più forte. L'impeto dei fascisti travolge ogni resistenza. Altri
circoli incendiati per tutta la città. Decido allora una più vasta azione. Vado
dal questore mentre Dino Grandi trattiene i fascisti che intanto si sono
radunati a migliaia nei pressi del borgo. Gli annuncio che avrei bruciato e
distrutto tutte le case dei socialisti di Ravenna se entro mezz'ora non mi dava
in consegna i mezzi necessari per portare i fascisti altrove. E' un momento
drammatico. Esigo un'intera colonna di camion".
"Questa marcia
iniziata alle undici di ieri mattina 29, è terminata stamani 30. Quasi 24 ore
continuate ho riposato un momento nè toccato cibo. Siamo passati da Rimini,
Sant'Arcangelo, Savignano, Cesena, Bertinoro, per tutti i centri e le ville tra
le province di Forlì e Ravenna, distruggendo e incendiando tutte le case rosse,
sedi di organizzazioni socialiste e comuniste. E' stata una notte terribile. Il
nostro passaggio era segnato da alte colonne di fuoco e fumo".
"La destra: ecco un
termine che i fascisti comprendono poco. C'è da giurare che essi siano a loro
volta poco compresi dalla destra medesima".
26
ottobre 1922: Roma, alla viglia della "marcia".
"Ho convocato in
piazza San Claudio, presso la direzione del partito, le squadre degli arditi ai
quali spetterà il compito dell'azione terrorista nel caso di una difesa ad
oltranza delle forze del regime dentro la capitale. Sono 250 divisi in 25 squadre.
Nessuno è informato dei loro nomi e dei loro compiti. Neppure i dirigenti del
Fascio Romano. Sono armati di bombe e spezzoni e hanno a loro disposizione ben
quattro lanciafiamme. Dovranno attaccare, se sarà necessario, i centri vitali
della resistenza governativa a cominciare dal palazzo Viminale. Il loro
intervento dovrà essere assolutamente inaspettato e fulmineo, gettare il
disordine e la paura nei gradi alti e bassi degli uffici statali, rendere
difficile e pericolosa, insomma, la vita del governo a Roma".
Questa è
"Rivoluzione".
"Rivoluzione” : una
necessità permanente, con essa possiamo solo perdere le catene che ci
soffocano.
(segnalazione culturale ad opera di Edoardo Longo,
editore della Lanterna,
incarcerato per “ lesa maestà giudiziaria”)
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